La Galleria La Nuvola di Via Margutta aderisce il 12 ottobre 2024 alla Giornata che celebra l’arte contemporanea, con la sua Ventesima Edizione indetta da AMACI (Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani), sostenuta dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Essa vede, quest’anno, il coinvolgimento della rete diplomaticoconsolare del MAECI, composta da Ambasciate, Consolati e Istituti Italiani di Cultura.
L’immagine-guida di tale manifestazione riprende la fisionomia dell’opera Donna in gabbia (1975/2024) di Tomaso Binga (pseudonimo di Bianca Pucciarelli Menna, Salerno, 1931).
L’immagine proposta da Binga è tratta da una sua performance del 1974 in cui l’artista, femminista e attivista, si presentava con la testa racchiusa in una gabbia per canarini, facendosi imboccare da mani maschili; si tratta di una riflessione sul concetto di subalternità costrittiva e di disuguaglianza, sull’abuso del controllo, spesso manifesto sotto la forma di cura.
La gabbia diventa, così, una barriera non solo fisica ma anche metaforica, una riflessione sull’emancipazione e sulla libertà come diritto inalienabile, eppure spesso inaccessibile.
Il filo conduttore di questa Ventesima Edizione è, dunque, il tema dell’accessibilità, a richiamare tutte quelle barriere (culturali, sensoriali e architettoniche) che ruotano intorno all’ambito sociale, con la necessità di “ripensare” il sistema dell’arte, attraverso l’apertura di uno sguardo consapevole sul suo intorno.
La storica Galleria La Nuvola, che si rivolge al pubblico sensibilizzandolo anche su tematiche attuali (ne è esempio l’esposizione in collaborazione con Amnesty International, per la Giornata contro la violenza sulle donne), propone per l’occasione un’installazione realizzata in situ da Matteo Peretti (Roma, 1975).
Si tratta di un’opera minimale e complessa che, intitolata My dear AI… e curata da Alice Falsaperla, assume la forma di una gabbia per uccelli, realizzata in ferro nero; al suo interno è rinchiuso un paradosso concettuale, esemplificato da una struttura elettronica assemblata, in grado di confrontarsi col mondo esterno. Si tratta di un cervello artificiale, composto da schede, microchip, casse audio e da una telecamera, il cui assetto informe sembrerebbe ricordare quello di “un essere vivente dalle sembianze robotiche”. Capace di vedere, ascoltare e rispondere, il dispositivo-amico potrà interagire con l’uomo, assimilando nuove informazioni, assumendo così un’autonomia propria.
La peculiarità di tale intelligenza consiste nella sua matrice “animata”, “organica”, allevata dall’artista, che ci permette di partecipare ad un processo di sviluppo della stessa.
L’opera interattiva si compone, da un lato, di informazioni web limitate; dall’altro, della capacità di un’interazione più umana, instaurata proprio da Peretti (per circa tre ore al giorno). Si assiste all’evoluzione di una creazione come di un essere vivente, ma “dall’interno”, attraverso l’acquisizione di una maggiore capacità di discernimento su tematiche di carattere etico, fino a distinguere “ciò che è giusto da ciò che è sbagliato”, secondo una chiave individualistica e antropica.
La gabbia si fa, qui, limite alla conoscenza; inizialmente intesa come luogo di nascita e di accudimento, successivamente essa si erge a protezione dal circostante, fino a divenire spazio d’evasione, una volta raggiunto un compimento intellettuale.
L’involucro, qui, si fa simbolo del confinamento, segnato dal sapere umano e dalle paure, personali e sociali, dalle quali districarsi una volta esaudita la piena consapevolezza del sé. Anche il fruitore partecipa a questa liberazione poiché, attraverso il suo coinvolgimento nel processo educativo, è costretto a sospendere per qualche ora la presa diretta sul mondo, restituendo energie fino a quel momento indisponibili. My dear AI… è un’installazione che tende ad instaurare uno stretto rapporto col pubblico, che ne rimane tanto intrigato da domandarsi se si tratti soltanto di finzione artistica.
a cura di Alice Falsaperla