Hiroyuki Nakajima – “Sho” – 2000

Con l’entrata nel Ventesimo secolo gli sguardi dei pittori, fino ad allora rivolti verso l’esterno, si sono diretti anche verso la propria interiorità, ovvero c’è stata la nascita della pittura astratta.

Molte volte la “Sho” viene interpretata come un tipo di pittura astratta dagli occidentali e dalle persone esterne alla cultura degli ideogrammi. Dal punto di vista di espressione della propria interiorità e non di paesaggi o oggetti, si può dire che anche la “Sho” è, nel mondo dell’astratto, un’arte che persegue la bellezza. La “Sho”, però, possiede una caratteristica peculiare che non esiste nella pittura astratta. Per primo il fatto che fa dei “caratteri” il proprio soggetto. Se i segni alfabetici, uno per uno, sono simboli fonetici, la maggior parte degli “ideogrammi”, i caratteri originali orientali, consistono di forme tratte dalle cose e ciascun carattere comprende sia un significato che un suono.

Per esempio, il carattere “Albero” è realizzato imitando la forma di un albero eretto, ed ancora “Luna”, dalla forma della luna calante che fluttua nel cielo serale. La “Sho”, che usa come soggetto i caratteri è, sì, formata da più linee, ma queste non sono mere linee casuali, sono linee che formano il carattere.

Dice l’artista calligrafo Inoue Yuichi: “Anche se viene detto che la calligrafia è una espressione di linee, è durante il processo di scrittura dei caratteri, nella realizzazione delle linee che sta il segreto complesso e delicato della calligrafia”. L’artista calligrafo viene influenzato dal contatto con la forma ed il significato degli “ideogrammi”, impugna il pennello e, attraverso la scrittura dei caratteri, proietta la propria interiorità sul foglio di carta. Mettere l’anima in una pennellata.