Trenta opere rappresentano il corpo della mostra di Goncalo Mabunda, queste, non solo attirano per la particolarità delle forme, ma una volta fermi, ci fanno pensare.
Le forme sono antropomorfe, strani e buffi pupazzi, animali fantasiosi, creature atterrate da un’altra galassia, il tutto sembra immerso in un’atmosfera da “The day after”. Queste opere possiedono tutte la doppia qualità degli ossimori, ovvero ciascuna di esse appare in aperto contrasto con sè stessa: da una parte sono comiche ed allegre, dall’altra tristissime e feroci.
Questo doppio registro così dissonante è frutto sia di eventi che sovrastano le opere, ma anche della volontà dell’autore di dare voce a chi non ce l’ha. La storia del Mozambico devastata da 15 anni di guerra civile ha tirato su più generazioni disperate, senza infanzia, senza acqua potabile, senza…, senza…, senza…, ma piena di armi.
Una memoria terribile, che sarebbe preferibile non avere. Sappiamo tutti che è impossibile eludere la memoria, ma che, invece è salutare affrontarla e cercare di lavorare su di essa, affinché diventi inerme, anche se non sarà mai innocente, affinché diventi inoffensiva, anche se mai potrà restituire ciò che ha preso, ma almeno fare in modo che non prenda più e che restituisca quello che solo può, ovvero non dimenticare, nel sopore assoluto dell’odio, per poter prendere l’unica via verso il futuro.
L’installazione di Ivan Barlafante “I Love You” si incastona e restituisce quell’emozione. Il suono che emerge dal suo lavoro è misto, corrisponde ad un respiro e ad un cuore che pulsa, la cui vibrazione sposta la sabbia, rendendo viva e pulsante la materia, in un movimento lento, ma incessante, che evoca la vita. L’amore, in quanto sentimento non possiede un volto universale e riconoscibile, ma ha la forza di tutti i volti del mondo, amati da ogni singolo individuo, quei suoni e quel movimento, messi in scena da Barlafante, ben rappresentano la forza e l’universalità imperitura di questo sentimento così forte e necessario alla vita di tutti noi.