La Global Soil Partnership (GSP), organismo istituito nel 2012 e presieduto da Ronald Vargas, Responsabile Generale dei Suoli, porta con sé la missione di posizionarli a livello globale e promuoverne una gestione sostenibile. Il partenariato, ospitato dalla FAO (Food ad Agricolture Organization of the Unite Nations), lavora per migliorare la governance del suolo e per garantirne la produttività verso una sicurezza alimentare e una mitigazione dei cambiamenti climatici a favore di uno sviluppo sostenibile.
Si stanno esplorando varie opportunità possibili, attraverso gli obiettivi dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) che oggi la FAO intende fissare e diffondere per mezzo di differenti forme di declinazione, tra queste la rappresentazione artistica. Tale linguaggio, contemporaneamente affiancato ad un approccio scientifico, vuole suggerire ulteriori chiavi di lettura legate alle urgenze, in modo da fornire alla popolazione un mezzo culturale percorribile per una visione più consapevole e inclusiva dell’ambiente. Il 5 dicembre ricorre la Giornata Mondiale del Suolo che mira a sensibilizzare la società nel mantenimento di un benessere eco-sistemico e umano; il tema di quest’anno consiste nel “cibo sano in suoli sani”.
La perdita di fertilità è uno dei principali processi di degradazione che minaccia la nutrizione ed è riconosciuto come uno dei problemi più importanti a livello globale. Riguardo a questo argomento, a seguito di una prima esposizione in data 5 dicembre al The Sheikh Zayed Room alla sede della FAO a Roma,
la Galleria La Nuvola di Via Margutta, da sempre attenta alle tematiche ambientali, ospita dal 6 al 12 dicembre la personale del fotografo Stefano Lotumolo (Lucca, 1987). La mostra, dal titolo Sip of Earth, è a cura di Giusy Emiliano, critica d’arte e collaboratrice stabile della Land and Water Division del Quartier Generale delle Nazioni Unite (FAO), e di Alice Falsaperla, storica dell’arte e gallerista, in collaborazione con la società New Art Way, rappresentata dagli artist manager Tommaso Zijno e Alessandro Wingfield. Stefano Lotumolo è un artista che più volte ha espresso il suo impegno verso la natura e verso un futuro maggiormente volto alla cristallizzazione delle tradizioni. La sua ricerca affonda le radici nell’atavismo e intesse un rapporto profondo con l’ambiente e le comunità che l’abitano. Indaga l’importanza dei gesti e delle connessioni tra le genti, tra Asia e Africa, e propone allo spettatore un nuovo orizzonte individuale all’interno dell’esperienza collettiva.
«Ho vissuto trenta dei miei anni in una bolla dorata. Poi ho saltato verso l’ignoto. Il mondo mi ha mostrato la vera faccia della realtà, svelandomi i suoi doni, di meraviglia e povertà. Poi nel 2017, in viaggio, è arrivata la fotografia, attraverso la quale ho percepito i miei occhi diversi, volti a ritrovare la differenza in una società che tende spesso a proteggere solo i propri confini», spiega Lotumolo.Il mezzo fotografico diventa una forma di “testimonianza pura”, capace di comunicare un messaggio senza filtri. L’importanza dell’alimento viene espressa, con Lotumolo, attraverso una cura al limite del rituale, dalla coltivazione alla preparazione, ponendo una riflessione sullo spreco e sulla mancanza, col fine di cogliere il primordio celato nella realtà.
Si pone come trasferimento di conoscenze alternative ed esperienze condivise, oltre quelle eurocentriche. Da un punto di vista sociale, vi è poi la creazione da parte del fotografo, nel luglio 2020, di Radici Globali, “un’associazione di promozione sociale che ho creato con l’obiettivo di promuovere un modello di protezione delle comunità rurali nei paesi in via di sviluppo, attraverso la fornitura di servizi essenziali. L’intento è quello di poter garantire a più comunità possibili l’accesso all’acqua e al cibo, all’esercizio dei diritti fondamentali per preservare le proprie radici”, afferma Lotumolo.
Fotografia di Domenico Flora