A distanza di oltre 100 anni dalla morte, l’artista futurista Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 1882 – Verona, 1916) è stato celebrato in Oriente, all’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo e al Nakanoshima Art Museum di Osaka, con due conferenze curate dal Professor Alberto Dambruoso, uno dei massimi esperti di Boccioni (ha curato insieme a Maurizio Calvesi il catalogo generale dell’artista, edito nel 2016).La scultura più iconica del Futurismo – Forme uniche della continuità nello spazio (1913) di Umberto Boccioni – proveniente dalla collezione di Roberto Bilotti Ruggi D’Aragona, sarà eccezionalmente esposta a Roma, sabato 1 ottobre alle ore 18, nel nuovo spazio della Galleria La Nuvola di Via Margutta 41.
L’opera-simbolo dei 20 centesimi, dichiarata “d’interesse particolarmente importante” dal Ministero dei Beni Culturali con decreto n. 77/2013, verrà presentata con una conferenza del critico d’arte Alberto Dambruoso e accompagnata dal suo nuovo catalogo, Boccioni. Opere inedite (Maretti Editore), insieme ad alcune proiezioni riguardanti approfondimenti sull’artista e sulla scultura.
«Il soggetto consiste in una figura per metà antropomorfa per metà meccanica che, come il tassello di un ingranaggio, è priva di alcune parti “anatomiche”, la cui continua alternanza di pieni e vuoti determina il corpo nei suoi moti materiali.
Alla base del movimento futurista, la celebre opera incarna la “bellezza della velocità” tramite il dinamismo plastico, in cui fissata è “la forma che esprime la sua continuità nello spazio”», spiega la gallerista Alice Falsaperla che ha organizzato l’evento.
«Somiglia a un uomo lanciato a velocità folle nello spazio, ovvero nel futuro. In questa corsa, le forme del corpo a contatto con l’aria si deformano creando una rete di pieghettature delle fasce muscolari, le cosiddette “alette” che sono state, senz’altro, oggetto di studio per la loro forma aereodinamica da parte delle maggiori case automobilistiche europee fin dagli anni trenta», afferma Dambruoso, portandoci a riflettere sulla modernità che, ancora dopo 100 anni, l’opera straordinariamente trattiene.
Fotografia di Domenico Flora