La Galleria La Nuvola di Fabio Falsaperla apre il suo secondo spazio espositivo a Roma sotto la direzione della figlia Alice, con una mostra di Pino Pascali, artista tra i più rappresentativi della Scuola di Piazza del Popolo, gruppo artistico che proprio Falsaperla ha avuto il merito di promuovere fin dagli inizi della sua attività, divenendone, nel corso del tempo, il gallerista di riferimento. Dopo le personali dedicate a Tano Festa, Mario Schifano, Franco Angeli, Mario Ceroli, Renato Mambor, Cesare Tacchi, Gino Marotta, Giosetta Fioroni e Sergio Lombardo, non poteva mancare quella di Pino Pascali, già presente, a dire il vero, in alcune esposizioni collettive presentate negli scorsi anni in Galleria.
La mostra vede la presenza di una trentina di opere realizzate dall’artista di origini pugliesi tra il 1960 e il 1966, un momento molto importante per la sua formazione, quando, terminati gli studi in Accademia sotto la guida di Toti Scialoja, inizia a lavorare come aiuto scenografo alla Rai e a collaborare come scenografo pubblicitario, prima con la Incom e poi con la Saraceni-Lodolo (réclame Algida). Con Sandro Lodolo proseguirà il rapporto lavorativo e di amicizia fino alla sua scomparsa. Nel 1963 realizza la sigla Tic Tac per la ditta Sutter e nel 1966 quella per la Cirio, di cui è interprete e regista. Infine, nello stesso anno, collabora con la Maggiora Biscotti, di cui scrive il soggetto, disegna le scenografie e i pupazzi che anima. In mostra sono presenti alcuni disegni realizzati per la prima campagna pubblicitaria dell’Algida (serie Killers) che furono però rifiutati dal committente perché troppo innovativi per l’epoca.
Come noto, a partire dal 1964, Pascali imprimerà una svolta alla propria ricerca, che da bidimensionale si trasformerà in oggettuale, e di conseguenza tridimensionale, per poi diventare negli ultimi anni della sua breve ma intensa vita, tra il 1966 e il 1968, installativa/ ambientale. Al periodo pop, tra il 1964-65, identificabile con la produzione delle Labbra rosse o della Maternità, o ancora del Torso di una negra, aggettanti dal supporto della tela (chiara l’influenza esercitata dal Burri dei Gobbi ma anche delle coeve Tappezzerie di Tacchi), segue, l’anno successivo, quello delle Armi da guerra ricostruite fedelmente dall’artista riutilizzando oggetti di scarto recuperati; successivamente arriveranno quelle realizzate con materiali “poveri” come le terre, le pozzanghere d’acqua o quelle con le tele centinate aventi come soggetti gli animali (dinosauro, bucranio, balena).
La mostra documenta molto bene sia la straordinaria inventività di Pascali sia la sua impressionante facilità nello sperimentare tecniche inedite, sulla scia degli insegnamenti ricevuti da Scialoja in Accademia, ma l’esposizione ha soprattutto il merito di inquadrare nella corretta misura la figura dell’artista, dimostrando come la maggior parte dei temi iconografici sviluppati da Pascali dopo il 1964-65, fossero già presenti nelle opere bidimensionali realizzate tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. Ecco allora i disegni incentrati sul tema della guerra con i missili o i cannoni della contraerea, eseguiti nel 1964 e trasformati nel 1966 nella versione oggettuale; ecco il mondo degli animali disegnati su carta, in cui compaiono dinosauri, pescecani e balene che Pascali rende tridimensionali tra il 1966 e il 1968; o ancora il mondo africano di cui rappresenta nel 1964, in forma grafica, immagini di figure totemiche, stregoni, scudi, e che nel 1968 diventano “veri” ponti sospesi, trappole, lance, archi e altri oggetti vari appartenenti al mondo primitivo.
Un universo, quello di Pascali, in cui la fantasia ha sempre avuto un ruolo di primissimo piano. Un giorno, un giornalista gli chiese se fare lo scultore fosse un lavoro faticoso. Pascali rispose così: «Non credo che uno scultore faccia un lavoro faticoso: egli gioca, anche il pittore gioca; come tutti coloro che fanno ciò che vogliono. Il gioco non è solamente appannaggio dei bambini. Tutto è gioco, non è d’accordo?». Ecco, io credo che oggi come allora le opere di Pascali abbiano la capacità di farci tornare bambini, mostrandoci il mondo attraverso la lente del gioco. Un gioco serio, ben inteso, esattamente come quando i bambini giocano alla guerra.
Alberto Dambruoso
Fotografia di Domenico Flora